„Meine Identität bleibt immer die des Migranten.“

Diawara B. erzählt von der Vergeblichkeit seiner Integrationsbemühungen im abweisenden italienischen Einwanderungssystem – insbesondere angesichts des „Sicherheitsdekrets“.

Mi sentivo intrappolato nel primo centro di accoglienza, come un prigioniero. Mi sono sforzato, ho imparato la lingua, sono andato a scuola. Ora ho una casa mia e vado e vengo quando voglio. Ma ho fatto uno sviluppo. Molti di noi se ne sono andati o hanno dormito per strada, pensando solo a mangiare e a dormire. […]
Ho fatto di tutto per imparare la lingua, per capire la cultura, per diventare un palermitano. Per me era ovvio, perché dietro ogni diritto c’è anche un dovere. Ho cercato di fare il mio dovere. Tuttavia, la Questura di Palermo non ha rinnovato il mio permesso di soggiorno – semplicemente non lo capisco! Il motivo è che manca il mio passaporto. […]
Per me, non è la città in sé che può fare la differenza. È la politica, decreti come il decreto della sicurezza. Questi decreti sono pericolosi sia per i cittadini che per gli stranieri. Sono in questo momento senza documenti e a Palermo non c’è niente che non abbia fatto per integrarmi, il linguaggio, le attività sociali, le attività artistiche, ho fatto di tutto. Ma allo stesso tempo sono dalla parte di coloro che fanno cose cattive e a loro vengono negati i documenti, e io sono da quella parte, ma ho fatto tutto. Ho aiutato le persone, ho aiutato me stesso, mi sono integrato in ogni modo, a 360 gradi. Ma sono senza documenti, solo perché non ho il passaporto. Quindi la mia identità non è più quella di Diawara B., tutto il lavoro che ho fatto per integrare non conta più. La mia identità rimarrà sempre quella del migrante. […]
Questo regolamento di sicurezza non raddoppia nient’altro che l’incertezza. Quando un politico dice: voglio ridurre l’insicurezza, voglio ridurre le irregolarità, voglio dare lavoro agli italiani, gli italiani prima di tutto, giusto? Se si dice questo e poi si revoca il permesso di soggiorno per motivi umanitari, significa che migliaia di persone sono senza documenti e perdono la loro casa. Uscivano quando non riuscivano a trovare soldi o un posto per dormire, facevano lavori illegali perché non potevano restare senza lavoro. Con il lavoro illegale tolgono il lavoro agli italiani. Allora, cosa ha fatto il vostro decreto? Aumenta la criminalità, aumenta il numero di lavoratori non dichiarati. Quindi il decreto sulla sicurezza è un decreto di insicurezza. Sono una di quelle persone che devono fare lavori non dichiarati perché non ho documenti. Io studio perché voglio imparare molte cose, voglio aiutare questo paese e anche il mio paese, ma quando il governo dice: non riconosciamo il tuo status di studente, cosa facciamo? […]
A Bruxelles ci hanno detto che volevano far passare una legge che dice che i rifugiati in barca, quando arrivano in un primo Paese europeo, quando vi sbarcano, sono un immigrato diretto da tutta Europa, ovunque si voglia. Ma sapete chi ha detto di no? La Lega e il movimento delle cinque stelle hanno detto di no, e sono le stesse persone che dicono che ci sono tanti immigrati. Se accettassero questa legge, i migranti non sarebbero qui in questo momento.

Vuoi andare avanti, vuoi uscire, ma non puoi perché la tua carta d’identità non è valida per lasciare il paese, quindi devi rimanere qui. Quando guardano la carta d’identità italiana, l’uscita è valida, perché vanno dove vogliono… E come puoi dirmi che siamo in troppi in Italia? Fatemi uscire! Non capisco questa politica. […]
Se qualcuno è venuto qui, ha iniziato a studiare e ha fatto molte cose per la società, cosa fanno i politici per aiutare quella persona? Se gli consegnassero dei documenti, potrebbe andare a lavorare regolarmente, in modo che una percentuale vada allo Stato, in modo che altre persone possano essere aiutate di nuovo. Ma se non rilasciano il permesso di soggiorno, la gente si scoraggia, 7 persone su 10 vanno a spacciare, gli altri lavorano in nero, rubano e vendono droga. […]

Vorrei dire ai politici italiani ed europei che l’immigrazione non è un crimine, è un fatto, è normale. […] Non c’è paese europeo che non sfrutti un paese africano. Perché [l’Europa] non accetta alcuni africani che vengono qui per realizzare qualcosa? Accettalo! Perché solo insieme possiamo realizzare grandi cose […]. E queste persone cercheranno di aprire la porta. Ma quando apro la mia porta e dico vieni, siamo tutti uguali ed è per questo che vieni con il tuo contributo, altrimenti cercherai di sfondare la porta. […]

Il problema grande, la gente non capisce cosa vuol dire immigrare, se sentono la parola immigrare pensano, oh no, hai preso il barcone dalla Libia e sei arrivato qua, finito. […] la gente non capisce il senso della migrazione, e questo crea tanti conflitti, se ci sediamo e parliamo capiamo tante cose. […] ho imparato un sacco di cose, questo mi ha dato il coraggio di studiare di piu, di fare più cose con persone che hanno un’ideologia diversa dalla mia, questo significa investire su un mondo nuovo, ma finchè noi vogliamo stare cavalli-cavalli, asini-asini, lupi-lupi, alla fine cosa facciamo, ci mangiamo a vicenda. […] questo significa migrare: Significa sentire i problemi dell’altro. Se c’è un problema in mali, tu hai pure in problema, perchè la gente scappa per venire qua. Quindi nel mondo, finchè siamo umani , il problema di uno è il problema di tutti. In un modo o nell’altro sentirai questo problema. Devono smettere di considerarci animali, di accettarci come esseri umani, con la nostra cultura, con la nostra dignità, la nostra ideologia, e le nostre religioni. Solo cosi possiamo andare avanti. Se palermo diventa capitale della cultura, cose‘? Perchè ci sono tante persone divenute da diverse culture.

DIAWARA B., PALERMO, 12. giugnio 2019

Ich fühlte mich im ersten Aufnahmezentrum eingesperrt, wie ein Gefangener. Ich habe mich angestrengt, die Sprache gelernt, bin zur Schule gegangen. Jetzt habe ich mein eigenes Zuhause und ich komme und gehe, wann immer ich will. Aber ich habe eine Entwicklung gemacht. Viele von uns sind weggegangen oder haben auf der Straße geschlafen, sie haben nur daran gedacht, zu essen und zu schlafen. […]

Ich habe alles getan, um die Sprache zu lernen, um die Kultur zu verstehen, um ein Palermitaner zu werden. Es war für mich selbstverständlich, denn hinter jedem Recht steht auch eine Pflicht. Ich habe versucht, meine Pflicht zu tun. Dennoch hat das Polizeipräsidium von Palermo meine Aufenthaltsgenehmigung nicht verlängert – das verstehe ich einfach nicht! Der Grund dafür ist das Fehlen meines Passes. […]

Für mich ist es nicht die Stadt an sich, die viel ausmachen kann. Es ist die Politik, Dekrete wie das Sicherheitsdekret. Diese Dekrete sind gefährlich sowohl für diejenigen, die Staatsbürger*innen sind, als auch für diejenigen, die Ausländer*innen sind. Ich bin in diesem Moment ohne Dokumente und in Palermo gibt es nichts, was ich nicht getan habe, um mich zu integrieren, die Sprache, die sozialen Aktivitäten, künstlerische Dinge, ich habe alles getan. Aber gleichzeitig stehe ich auf der Seite derer, die schlechte Dinge tun, und ihnen werden die Dokumente verweigert. Und ich bin auf dieser Seite, aber ich habe alles getan. Ich habe Menschen geholfen, ich habe mir selbst geholfen, ich habe mich in jeder Hinsicht integriert, 360 Grad. Aber ich bin ohne Dokumente, nur weil ich keinen Reisepass habe. Meine Identität ist also nicht mehr die von Diawara B., es zählt nicht mehr die ganze Arbeit, die ich geleistet habe, um mich zu integrieren. Meine Identität bleibt immer die des Migranten. […]

Diese Sicherheitsverordnung verdoppelt nichts weiter als die Unsicherheit. Wenn ein Politiker sagt: Ich möchte die Unsicherheit verringern, ich möchte die Unregelmäßigkeiten verringern, ich möchte Italiener*innen einen Job geben, zuerst Italiener*innen, richtig? Wenn Sie dies sagen und dann die Aufenthaltserlaubnis aus humanitären Gründen widerrufen, das bedeutet, dass Tausende von Menschen ohne Papiere sind und ihre Wohnung verlieren. Sie gehen nach draußen, wenn sie kein Geld und keinen Platz zum Schlafen finden, sie erledigen Schwarzarbeit, weil sie nicht ohne Arbeit bleiben können. Mit der Schwarzarbeit nehmen sie den Italiener*innen die Arbeit weg. Also, was hat Ihr Dekret bewirkt? Es erhöht die Kriminalität, es erhöht die Zahl der nicht angemeldeten Erwerbstätigen. Daher ist das Sicherheitsdekret ein Dekret der Unsicherheit. Ich gehöre zu diesen Leuten, die Schwarzarbeit machen müssen, weil ich keine Dokumente habe. Ich studiere, weil ich viele Dinge lernen will, ich möchte diesem Land und auch meinem Land helfen, aber wenn die Regierung sagt: Wir erkennen deinen Status als Student nicht an, was tun? […]

In Brüssel erklärten sie uns, dass sie ein Gesetz verabschieden wollten, das besagt, dass Bootsflüchtlinge, wenn sie in einem ersten europäischen Land ankommen, wenn sie dort landen, ein direkter Einwanderer aus ganz Europa sind, wo immer Sie wollen. Aber wissen Sie, wer Nein gesagt hat? Die Lega und die 5-Sterne-Bewegung 11Die dem rechten Spektrum angehörenden italienischen Parteien Lega (auch Lega Nord) und Movimento 5 Stelle (deutsch: 5-Sterne-Bewegung) bildeten zwischen März 2018 und August 2019 eine Regierungskoalition, in der Lega-Chef Matteo Salvini Innenminister war und unter anderem mit dem „Sicherheitsdekret“ die migrationsfeindliche Linie der Partei durchsetzte. haben Nein gesagt, und es sind dieselben Leute, die sagen, dass es so viele Einwanderer*innen gibt. Wenn sie dieses Gesetz akzeptieren würden, wären die Migrant*innen momentan nicht hier. Du willst weiter, du willst hinaus, aber du kannst nicht, weil dein Personalausweis nicht für die Ausreise gültig ist, also musst du hierbleiben. Wenn sie sich den Personalausweis der Italiener*innen ansehen, ist die Ausreise gültig, denn sie gehen, wohin sie wollen … Und wie können Sie mir sagen, dass wir zu viele in Italien sind? Lass mich raus! Ich verstehe diese Politik nicht. […]

Wenn jemand hierhergekommen ist, angefangen hat zu studieren und viele Dinge für die Gesellschaft getan hat, was tun die Politiker*innen, um dieser Person zu helfen? Wenn sie der Person Dokumente geben würden, könnte diese regulär zur Arbeit gehen, sodass ein Prozentsatz an den Staat geht, sodass wieder anderen Leuten geholfen werden kann. Aber wenn sie keine Aufenthaltserlaubnis ausstellen, werden die Menschen entmutigt, 7 von 10 Menschen gehen hausieren, die anderen arbeiten schwarz, stehlen und verkaufen Drogen. […]

Ich möchte italienischen und europäischen Politiker*innen sagen, dass Einwanderung kein Verbrechen ist, es ist eine Tatsache, es ist normal. […] Es gibt kein europäisches Land, das kein afrikanisches Land ausbeutet. Warum akzeptiert [Europa] nicht einige Afrikaner*innen, die hierherkommen, um etwas zu erreichen? Akzeptieren Sie das! Denn nur gemeinsam können wir Großes bewirken […]. Und diese Menschen werden versuchen, die Tür zu öffnen. Aber wenn ich meine Tür öffne und sage, komm, sind wir alle gleich und deshalb kommst du auch mit deinem Beitrag, sonst wirst du versuchen, die Tür aufzubrechen. Wir müssen empathischer und offener mit dem anderen umgehen. Der Dialog hilft, den anderen zu verstehen und ihn nicht als Alien zu sehen. Ich denke, diese Dinge müssen geändert werden. […]

Das große Problem ist, dass die Leute nicht verstehen, was es heißt, auszuwandern. Wenn sie das Wort ‚Migrant‘ hören, denken sie: ‚Oh nein, die haben das Boot aus Libyen genommen und sind hierhergekommen.‘ […] Die Menschen verstehen die Bedeutung von Migration nicht und dies führt zu so vielen Konflikten. Wenn wir uns hinsetzen und reden, verstehen wir viele Dinge. […] Ich habe viele Dinge gelernt. Das gab mir den Mut, mehr zu lernen und mehr Dinge mit Menschen zu tun, die eine andere Ideologie haben. Das bedeutet, in eine neue Welt zu investieren, aber solange wir Pferde, Esel, Wölfe sein wollen, fressen wir uns am Ende gegenseitig […]. Migration bedeutet, die Probleme anderer zu spüren. Wenn es ein Problem in Mali gibt, haben wir hier auch ein Problem, weil die Leute weglaufen, um hierherzukommen. So funktioniert es in der Welt, solange wir Menschen sind: Das Problem einer Person ist das Problem aller. So oder so werden wir hier die Probleme spüren. Sie müssen aufhören, uns als Tiere zu betrachten; und uns als Menschen akzeptieren, mit unserer Kultur, unserer Würde, unserer Ideologie und unseren Religionen. Nur dann können wir vorwärts gehen. Palermo ist Kulturhauptstadt, weil es hier so viele Menschen gibt, die aus verschiedenen Kulturen stammen.

Diawara B., Palermo, 12. Juni 2019

    Fußnoten

  • 1Die dem rechten Spektrum angehörenden italienischen Parteien Lega (auch Lega Nord) und Movimento 5 Stelle (deutsch: 5-Sterne-Bewegung) bildeten zwischen März 2018 und August 2019 eine Regierungskoalition, in der Lega-Chef Matteo Salvini Innenminister war und unter anderem mit dem „Sicherheitsdekret“ die migrationsfeindliche Linie der Partei durchsetzte.

Diawara B. kommt aus Mali und hat mit knapp 15 Jahren seine Familie verlassen, um in Algerien zu arbeiten. Er blieb ein Jahr und sieben Monate, arbeitete und legte Geld beiseite, um damit in Mali ein Geschäft zu eröffnen. Als sich die Situation in Mali verschlechterte und er auch in Algerien immer schlechter behandelt wurde – „sie haben mich wie einen Affen behandelt, wie Bilal, ein ehemaliger Sklave, der vom Propheten Mohammed freigekauft wurde“ –  hat er im Spätsommer 2016 die Überfahrt nach Sizilien gewagt. Er kam als Minderjähriger und lebt seitdem in Italien. Nach einem Aufenthalt in einem Erstaufnahmezentrum in Sizilien, in dem er praktisch über drei Wochen eingesperrt war, kam er auf Umwegen im Dezember 2016 nach Palermo. Heute geht er auf ein internationales Gymnasium, engagiert sich im Projekt Giocherenda und hofft, seinen Abschluss machen zu können, um zu studieren.

Durch das sogenannte „Sicherheitsdekret“ vom Oktober 2018 hat er vor kurzem seinen Aufenthaltsstatus verloren, wodurch er sich von einem Tag auf den anderen in einer äußerst prekären Situation befindet, die schlimmstenfalls mit dem Verbot einhergehen könnte, nicht mehr zur Schule gehen zu dürfen.

In dem Interview kritisiert Diawara B., dass er von den italienischen Behörden und durch die restriktive Migrationspolitik Italiens auf die Rolle eines unerwünschten Migranten reduziert wird, unabhängig davon, dass er sich stark bemüht, sich ein Leben in Palermo aufzubauen und gesellschaftliche Beiträge zu leisten. Insbesondere problematisiert er das sogenannte „Sicherheitsdekret“, welches von der italienischen Regierungskoalition der Fünf-Sterne-Bewegung und Lega Nord und dem Innenminister Matteo Salvini verabschiedet wurde und zu drastischen Einschnitten in der italienischen Asylgesetzgebung und -schutzsystem und damit zu radikalen Einschränkungen der (legalen) Möglichkeiten der Menschen, sich ein Leben in Italien aufzubauen, geführt hat.

So werden keine Aufenthaltsgenehmigungen aus humanitären Gründen mehr ausgestellt – und dies, wenn man bedenkt, dass etwa 20-25% der Asylanträge in den letzten Jahren in eine solche Genehmigung umgewandelt wurden. Dank humanitärer Erlaubnisse erhielten viele Migrant*innen Papiere, und hatten damit die Möglichkeit, sich in die italienische Gesellschaft zu integrieren. Durch die Abschaffung der Aufenthaltsgenehmigungen aus humanitären Gründen werden Tausende von Migrant*innen auf italienischem Territorium illegalisiert.

Dadurch wiederum sind mehr Migrant*innen zu illegaler Arbeit gezwungen.

Zudem wurde durch das Dekret das Aufnahmesystem in Italien drastisch eingeschränkt. Das bisher gut funktionierende italienische Schutzsystem für Asylbewerber*innen und Geflüchtete (SPRAR) sieht nur noch die Aufnahme von Migrant*innen vor, denen ein anerkannter Flüchtlingsstatus oder ein subsidiärer Schutz gewährt wurde (eine Ausnahme bilden weiterhin die unbegleiteten Minderjährigen). Was mit der Mehrheit der Geflüchteten passiert, denen der Zugang zu den SPRAR verwehrt bleibt, ist leicht vorstellbar und konterkariert das neue Gesetz namens „Sicherheitsdekret“.

Zudem kritisiert Diawara B., dass Geflüchtete durch die europäische Asylgesetzgebung in Europa verharren müssen. Damit ist vor allem die Dublin-Verordnung gemeint, derzufolge jener EU-Staat Verantwortung für die Bearbeitung eines Asylantrags hat, in dem ein*e Asylbewerber*in  zuerst in Europa registriert wurde. Ohne Anerkennungsstatus ist die Freizügigkeit von Geflüchteten in Europa stark eingeschränkt.

Wie entstanden die Selbstzeugnisse, Filme und Filmfragmente in Palermo?

Diawara B. und Diallo S. von Giocherenda gestalteten mit den Teilnehmenden Glory M., Fatima D., Ismail A., Kadijatu J., Marrie S. und Mustapha F. im Sommer 2019 einen dreitägigen Workshop, in dem es um ihre eigenen Erfahrungen in Palermo ging. Mit verschiedenen Ansätzen und Spielen konnten in der Gruppe persönliche Erfahrungen ausgetauscht und vor der Kamera des We Refugees Archiv Filmteams in der Black Box erzählt werden. Fatima D., Ismail A. und Mustapha F. erklärten sich bereit, außerhalb des Workshops von Giocherenda mit dem We Refugees Archiv Filmteam Kurzfilme über ihr Leben und ihre Themen in der Stadt zu drehen.

Giocherenda ist eine professionelle Organisation von und mit jungen Geflüchteten in Palermo, die Spiele zum Storytelling anbietet. Es geht im Ansatz nicht darum Geflüchteten zu helfen und zu unterstützen, sondern ausdrücklich um den umgekehrten Ansatz: Geflüchtete helfen Europäer*innen im gemeinsamen Zusammensein und Erfahrungsaustausch.

Giocherenda kommt aus der afrikanischen Sprache Pular und bedeutet Solidarität, aber auch Interdependenz and Stärke, die aus der Zusammenkunft der Menschen entsteht. Es ähnelt dem italienischen Wort „Giocare“ (Spielen), das das Kollektiv dazu inspirierte, Spiele zu entwickeln, die Erzählungen erzeugen und persönliche Erinnerungen teilen können.

Perspektive der Geflüchteten

Es wurde bewusst auf ein Drehbuch oder standardisierte Fragen in den filmischen Interviews verzichtet. Es ging allein um die Perspektive der Geflüchteten und die Themen, über die sie sprechen wollten. Einzige Vorgabe des Workshops war ein grober inhaltlicher Rahmen zu ihren Lebenserfahrungen in Palermo und ihren Visionen in naher Zukunft. Entsprechend konnten die Teilnehmenden frei entscheiden, was sie thematisieren und über welche Eindrücke, Probleme und Perspektiven sie sprechen wollten. Dass einige von ihnen dennoch über ihre Fluchterfahrungen nach Europa sprachen, beruhte also nicht auf einer Workshopvorgabe, sondern allein auf ihrer eigenen Entscheidung.